Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in
Roma,  via  dei  Portoghesi n. 12, e' domiciliato nei confronti della
Regione  Umbria  in  persona  del  Presidente  della giunta regionale
pro-tempore,  per  la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale
della  legge  regionale  n. 2 del 1° febbraio 2005 pubblicata sul BUR
n. 6   del  9  febbraio  2005  recante:  «Struttura  organizzativa  e
dirigenza   della   Presidenza   della   giunta  regionale  e  giunta
regionale».

    La  legge  regionale e' censurabile in relazione all'articolo 19,
commi   1   e  2,  lettera  b)  che  prevede,  nei  concorsi  banditi
dall'Amministrazione,  una  riserva  di posti nei limiti del quaranta
per  cento di quelli oggetto di reclutamento dall'esterno a favore di
soggetti  che  «abbiano avuto rapporti di lavoro subordinato e/o para
subordinato a tempo determinato, per una durata complessiva di almeno
24  mesi  nel  periodo  dal 1° gennaio 1995 al 31 dicembre 2004. Tale
disposizione  viola  il  principio  costituzionale  dell'accesso agli
impieghi  nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico,
di  cui  agli  articoli  3, 51 e 97, commi 1 e 3, della Costituzione,
come   ribadito   dalla   giurisprudenza   costituzionale   (sentenze
nn. 1/1999,   194/2002,   274/2003,  34/2004,  205/2004),  nonche'  i
principi   di   ragionevolezza,   imparzialita'   e  buon  andamento,
comportando   esclusivamente   un   indebito  privilegio,  in  quanto
l'attivita'  svolta  per  la regione non si configura quale requisito
professionale  per  l'ammissione  alle  selezioni  pubbliche  tale da
consentirne  una  riserva  di  posti,  come  invece  affermato  dalla
giurisprudenza costituzionale che ha giustificato la riserva di posti
a fronte della peculiarita' delle figure professionali (catalogazione
dei beni culturali ed ambientali) (sent. n. 141/1999).
    La  Corte  costituzionale, infatti, ha piu' volte ribadito che il
concorso  pubblico  e'  la forma generale e ordinaria di reclutamento
per  il  pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone
di  efficienza dell'amministrazione, regola che puo' dirsi pienamente
rispettata  solo  qualora  le  selezioni  non siano caratterizzate da
arbitrarie   ed  irragionevoli  forme  di  restrizioni  dei  soggetti
legittimati a parteciparvi.